“Quale futuro per le democrazie, quale percorso di ricostruzione attende l’Italia”, ciclo di dialoghi digitali della nuova resilienza. Pier Paolo Baretta, Sottosegretario al MEF, risponde.
“Esiste una sola soluzione per uscire dallo stato di emergenza permanente in cui siamo piombati: recuperare il senso della politica che manca alle democrazie contemporanee… Ecco perché, oggi più che mai, è necessario ribellarsi alla dittatura del presente e riprendere un discorso sui fini”. È una frase di Gustavo Zagrebelsky nel suo “Contro la dittatura del presente – Perché è necessario un discorso sui fini”, e lo stesso è intervenuto più volte nella discussione che accompagna l’emergenza pandemia sulla questione della messa in discussione della legittimità dei provvedimenti del Governo che per qualcuno ha violato i principi della Costituzione. E “Quale futuro per le democrazie, quale percorso di ricostruzione attende l’Italia” è stato l’argomento dell’ultimo incontro organizzato da “Anticipare il Futuro”, promosso da Ideeventure e Passaggi a NordEst, il ciclo di dialoghi digitali della nuova resilienza che vuole favorire la circolazione di pensiero e azione mettendo insieme coloro che, nell'impresa, nel mondo del lavoro, in quello del sapere nonostante le circostanze, vogliono ragionare e agire per una ricostruzione innovativa del Paese. Ospite di questo appuntamento, che vede ormai un’alta adesione alla partecipazione coinvolgendo da nord a sud chi vuole fare tesoro di questa esperienza per disegnare una nuova visione del futuro, il Sottosegretario al MEF Pier Paolo Baretta.
La pandemia non ha soltanto sconvolto le nostre abitudini, la quotidianità, congelato rapporti sociali ma ha messo in discussione anche molte consuetudini, ha accentuato valori ma per alcuni ha anche minato principi. E su questi fattori di profondo cambiamento bisogna ragionare e intervenire con una visione prospettica e il Sottosegretario al MEF individua cinque campi di disquisizione: sanitario, economico, sociale e relazione, politico-istituzionali. Cambiamenti che vanno democraticamente gestiti – afferma - in misura strutturale e a lungo termine, soltanto così possono trasformarsi in opportunità, superando il momento e sfidando il futuro che necessariamente deve essere migliore.
La lunga, ma alquanto tecnica ed equilibrata, riflessione parte dalla relazione pandemia - contagio e quindi sulla messa in discussione dei rapporti sociali che impatta contro uno dei diritti fondamentali e riconosciuto come tale, quello della libertà individuale che ha chiamato in causa conseguentemente quello sulla mobilità personale sancito in Europa dall’Accordo di Schengen e a cui abbiamo dovuto rinunciare in funzione di obblighi ma in virtù di una responsabilità collettiva che ha giocato, e continuerà nel tempo a farlo, un ruolo cardine nella lotta alla diffusione del virus.
A differenza dei Paesi sotto dittatura, come la Cina, la misura della restrizione in Democrazia ha assunto un tema inedito e direttamente proporzionale alla libera accettazione delle limitazioni richieste. Ciò Pier Paolo Baretta definisce “fatica della democrazia”, un valore complesso che si trova a scontrarsi nel bene e nel male con le problematiche non più di una modernità liberale ma di una contemporaneità globalizzata che trova i suoi indice o cavilli a seconda dell’interpretazione nell’economia e nella finanza mondiale e poi nella tecnologia e nella comunicazione di massa.
Il coronavirus ha portato con sé quindi anche ambiti di discussione che chiamano in causa la democrazia stessa, oggetto di diversi attuali dibattiti, e che il relatore evidenzia in una personale disamina e li sintetizza in tre punti cruciali: la filiera decisionale che in un contesto emergenziale come quello che stiamo vivendo manifesta maggiormente le sue incongruenze e inefficienze, come la lungaggine e la lentezza della burocrazia a cui è stata demandata la gestione delle azioni messe in campo dal Governo. In secondo luogo, il consenso o la mutevolezza di esso che nelle piazze virtuali e ancora più suscettibile di condizionamenti emotivi e psicologici. Ma ciò che può essere considerato un reale elemento di rottura con un passato ancora prossimo e che avrà ripercussioni durature è il terzo elemento che Baretta identifica nel rapporto completamente nuovo tra politica e scienza.
A questa si sono rivolti tutti i governi del mondo chiedendole una sorta di verità scientifica che indirizzasse le proprie azioni, in un rapporto quasi alla pari. Non solo concertazione, come i protocolli condivisi tra i vari soggetti chiamati in causa, ma modalità nuove attraverso cui la politica esprime la capacità di interagire con realtà esterne riconoscendone competenze specifiche e valore nella responsabilità delle scelte che rimangono di sua prerogativa e tale devono essere.
Nel dibattito, alternata dalle domande dei partecipanti, il neo candidato a sindaco di Venezia offre un quadro di discussioni su cui è possibile intervenire in un superamento delle azioni congiuntura - struttura che al momento sono in funzione della prevenzione e contrasto al virus: il rapporto tempo-spazio dettato da quel distanziamento sociale richiesto e che inevitabilmente ha già cambiato e cambierà ulteriormente nei sistemi di relazioni economiche, lavorative e sociali. Il rapporto lontananza-vicinanza, in misura in cui ognuno limiterà i propri spostamenti a esigenze primarie e non più di libera scelta o per piacere. Il rapporto tanti-pochi, gli assembramenti saranno negati ancora per molto. Il rapporto pubblico-privato dove scelte obbligate del momento rimarranno nel tempo, come ad esempio lo smartworking.
Nelle conclusioni il Sottosegretario evidenzia le principali conseguenze di questa emergenza per il nostro Paese: primo, un impoverimento generale della popolazione in funzione di un abbassamento del reddito pro capite. Basti pensare che in due mesi siamo passati dal 2,2% di deficit pubblico al 10,4%, il Pil ha raggiunto il -8%, dal 132% di debito pubblico al 166%, tutti dati che preannunciano una crisi economica già in atto e che si trasformerà in crisi sociale. Secondo, una trasformazione del tessuto produttivo a cui in una sorta di selezione naturale resisterà il più forte. Le possibilità quindi sono o l’accettazione passiva dei cambiamenti in atto o proporre strategie di contrasto per provare governarne il processo. E per Baretta l’unica strada possibile da intraprendere è un modello di crescita e sviluppo fondato sulla sostenibilità che si basa su due principi. La prima è una nuova idea di welfare che non deve essere unicamente di protezione ma anche di promozione, non più solo ammortizzatori ma opportunità. Uno stato sociale deve introdurre una nuova idea di welfare che non sia soltanto centrale ma anche territoriale come conoscenza diretta dei bisogni e che non sia circoscritto al pubblico ma sia misto con una forma di sussidiarietà importante non solo statale.
La seconda risposta è un nuovo modello di crescita basato sullo sviluppo sostenibile che inglobi più sistemi: sanitario, ambientale, economico e sociali e tre sono gli assi portanti su cui investire, turismo e cultura, logistica e mobilità, beni e servizi.
Nella sua chiusa riportando il discorso sull’ambito prettamente politico Baretta afferma: “Che cosa non deve fare una classe politica anche in democrazia? Dimostrarsi incerta! Deve condurre le proprie scelte, anche se suscettibili di cambiamenti in corso d’opera, con precisione e determinazione, il messaggio deve rispecchiare lo stato effettivo e non generare confusione difficilmente gestibile”.
E quindi ritorno al pensiero di Zagrebelsky, alla sua non accettazione passiva del discorso sui mezzi ma dei fini ed ecco che la politica riacquista prepotentemente la sua funzione primaria “costitutiva del fare”. E in quella inversione dei termini sta la strada da percorrere che altro non sono che le scelte che aprono ad una nuova visione della società e generano il cambiamento necessario e obbligato anche nel concetto stesso di “democrazia”.
Oggi l’unica salvezza è la capacità di sopravvivenza e di resilienza anche se queste significano perdere qualcosa, abbattere definitivamente qualche gigante e riscoprire di essere tutti parte di un sistema unico che funziona soltanto se ognuno fa la sua parte. Prepariamoci quindi al dopo, al fine, alla rinascita.
Fabrizia Arcuri