Il facilitatore d’impresa internazionale Ernesto Sirolli ospite di “Anticipare il Futuro”: “Tecnologie e strategie sviluppate nei tempi di crisi si dimostreranno talmente utili che non verranno abbandonate nel dopo crisi”

“Le peggiori crisi - diceva Winston Churchill - sono quelle che si sprecano”. Le crisi non sono solo portatrici di sofferenza e paura. Ogni momento di rottura traumatica, come quello che stiamo vivendo, mette sempre in moto risposte di adattamento ed energie creative che diventano veri e propri motori dell’innovazione. “Tecnologie e strategie sviluppate nei tempi di crisi si dimostreranno talmente utili che non verranno abbandonate nel dopo crisi”, così dice Ernesto Sirolli, facilitatore d’impresa, Fondatore e Presidente del Sirolli Institute International Enterprise Facilitation. Continenti, Paesi, piccole comunità, hanno adotta la sua metodologia che ha portato alla creazione di oltre 50 mila imprese, famoso il suo intervento al Ted conference "Volete aiutare qualcuno? State zitti e ascoltate!". In collegamento dalla California, dove vive, ha letteralmente ipnotizzato i partecipanti del webinar “Anticipare il Futuro”, dialoghi digitali dalla nuova resilienza, il ciclo di eventi promosso da Ideeventure e Passaggi a NordEst. Da dove ripartire se non dall'obiettivo comune di trasformare la crisi in opportunità e tentare di riprogettare il futuro con la consapevolezza che non ritorneremo a “come era prima”? Come far emergere quanto di positivo sta nascendo affinché, appunto, questa crisi non venga “sprecata” e l’innovazione aiuti la ripresa? Qual è il mondo che ci vogliamo lasciare alle spalle è quello che invece intendiamo costruire? Economia, politica, impresa, globalizzazione ma anche filosofia, democrazia, comunicazione, rapporti sociali, comunità, famiglia, un dialogo continuo, interattivo su questo e tanto altro attraverso la pratica dell’ascolto che Sirolli ha trasformato in metodologia ma che rimane la base dalla convivenza e della conoscenza del mondo e di se stesso. Socrate diceva “gnoti sauton”, riconoscere i propri limiti e virtù e renderli giusti e solidali. Il miglior ecosistema, sostiene l’abruzzese Sirolli, è quello dove si aiutiamo le persone ad aiutarsi, un circolo virtuoso dove la passione e le intelligenze delle comunità (intese non come luogo fisico ma sentire) diventano il motore di tutto e l’unico modo di scoprire talenti e ingegni è ascoltare. Anche in questa crisi l’unico modo per uscirne è offrire, mettere a disposizione, le proprie conoscenze e peculiarità intercettando le esigenze dell’altro e così via in una catena di relazioni prima contingenti e poi salde. “In dieci settimane ho visto realizzare cose prima impensabile!”, afferma. Dai rapporti orizzontali e frontali si è passato a forme verticali e gestite in remoto, il virtuale è diventato il nostro spazio e tempo, elementi che si sono così dilatati al punto di non conoscere più confini geografici ma soprattutto strutturali anche nel sociale e nel lavoro. Appuntamenti e viaggi di lavoro che si formalizzano in un batter d’ali e non più organizzati con dispendio di tempo e di energie che possono essere occupati in maniera diversa e contemporaneamente in luoghi diversi.

Una tecnologia che ha subito un’accelerazione o completamente sviluppata nel momento di emergenza e che si è dimostrata talmente utile che non verrà mai abbandonata. Anzi, un passo avanti in molte realtà che hanno trovato finalmente il loro take off, come la telemedicina o lo smart working.

Senza dubbio la comunicazione virtuale ha modifica i rapporti sociali ma dall’altra parte ci si è resi conto di come essa consenta un’intimità e una focalizzazione tale da superare barriere e costruzioni sociali che diventano a volte mentali. E si crea un avatar che non è privo di sentimenti ed emozioni ma semplicemente ha un sentire più diretto senza imposizioni dettate più dalla forma che dall’essere, che già di per sé deve essere portato al rispetto dell’altro in tutte le sue componenti personali e culturali. Anche perché come dice Ernesto - il tu con lui è d’obbligo - “dobbiamo smetterla di confondere l’intelligenza con l’educazione, perché la prima fa parte del DNA, la seconda è un’appendice che senza di essa non può esistere”.

“Dobbiamo ritornare alla filosofia - commenta il facilitatore, che poi meriterebbe un incontro a se solo la definizione del termine ma in fondo lo comprendi nella pratica dialettica in cui ti trasporta e vieni trascinato quasi inconsciamente - l’economia è stata definita la peggiore scienza perché gli economisti non capiscono niente, comprendono soltanto la base della piramide dei bisogni di Maslow. Ma non è tutto spiegabile materialmente, le passioni o la semplice voglia di fare non sono un bisogno materiale da soddisfare. Bisogna ridare alla filosofia il controllo e la gestione”.

Nelle conclusioni pone l’accento su un passaggio che nel ciclo negli incontri è emerso più volte, quasi un leitmotiv, il ruolo centrale della politica. Fino a qualche mese fa la finanza e l’economia comandavano, la pandemia ha invece fatto crollare un muro fin troppo fragile e instabile, come in fondo già dimostrato da altre crisi, e il mondo si è rivolto alla scienza per l’emergenza sanitaria ma ha trovato nella politica un’entità portante, tanto da riconsegnarli le redini attraverso quello che uno dei più grandi poteri, quello decisionale. Anche i Millennials che aveva consegnato il destino del mondo in mano e in funzione alla tecnologia, quasi unica detentrice delle risposte di futuro e di certezze, si sono dovuti ricredere. “La politica è vitale” - enfatizza Sirolli - affermando che la parola d’ordine o chiave di volta deve essere: il decentramento, dall’amministrazione ai servizi, dalla sanità ai fabbisogni primari, l’economia deve essere circola e locale. In questo modo si può rispondere a questa e alle crisi che verranno. Sussistenza è sopravvivenza! E precisa, che è necessario assumersi la responsabilità di ripartecipare alle decisioni come cittadinanza attiva perché solo così è possibile mantenere la propria libertà di individui e indirizzare scelte e decisioni senza subirle passivamente o peggio in modo coercitivo. Soltanto la responsabilità collettiva e le azioni corali volte al bene comune definiscono un paese democratico, se pur nelle sue diverse forme. Ma – incalza – bisogna tendere sempre di più, e questa crisi ha dimostrato che è possibile sia come strumenti sia come capacità d’interazione e d’interiorizzare dei cambiamenti giusti e necessari, verso una democrazia diretta e non soltanto votando tutti i propri rappresentati istituzionali ma partecipando alla vita legislativa del proprio Paese.

E nella chiusa riserva un pensiero diretto all’Italia dove, ancora troppo chiusa verso l’esterno e narcisisticamente convinta di essere il più Bel Paese del mondo, “più le cose cambiano, più restano le stesse”. Il popolo deve evitare di rimanere muto lasciando le decisioni sul proprio destino ad altri, ad esperti del momento, semplicemente divenendo osservatori passivi e subendo crisi ed emergenze senza avere la capacità di reazione, essere consapevoli verso ciò che di sbagliato c’è nella governance del proprio paese e quindi pretendere la soddisfazione dei bisogni comuni senza “prostituirsi”, dice lui, a chi impone circostanze e scelte. E saluta con una celebre frase de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”.

D’accordo o no, non c’è dubbio che la chiusa sia d’effetto e la riflessione d’obbligo, per il resto basta “ascoltare”…

Fabrizia Arcuri, giornalista